Descrizione Progetto
Elogio del caso
Il romanzo si apre e si chiude con due personaggi femminili che rappresentano gli estremi della vita: Eros e Thanatos, amore e morte. Tra le due “Eve”, si muovono tante figure molto diverse per età, carattere e condizioni di vita, collegate tra loro solo dalla casualità, come per un effetto domino. Il Caso regna sovrano in un mondo in cui Dio è assente o quantomeno non si occupa dell’umanità che, abbandonata a sé stessa, alterna a momenti sublimi altri terribili e drammatici. L’opera è un mosaico in cui le tessere, sparpagliate alla rinfusa, vanno a ricomporsi e a dare un senso alla realtà.
… “Marco venne a prenderlo l’indomani sotto casa dopo essersi fatto lasciare il suo indirizzo. Partirono con la sua moto, un’Honda potente e grintosa.
Il tempo era bellissimo: il cielo limpido, senza una nuvola, l’aria ancora un po’ frizzantina ma si capiva che si sarebbe riscaldata nel corso della giornata, un sole strepitoso.
Arrivarono in una insenatura appartata, una delle tante dopo il promontorio di Gaeta. I preparativi per l’estate imminente erano in ritardo, il luogo si presentava deserto, quasi inviolato dalla presenza umana: solo cielo, sabbia e mare. E vegetazione, tanta e verdissima, che scendeva degradando verso l’insenatura.
I due, ostentando un’allegria cameratesca, appena arrivati, si liberarono dei vestiti e, nudi, si tuffarono nell’acqua ancora fredda e trasparente.
Il freddo iniziale pian piano si dissolse, mentre nuotavano e si agitavano schizzandosi a vicenda. Giocarono a lungo come due ragazzini, lottando rudemente tra loro con un’euforia particolare: stavano insieme e la cosa era molto piacevole per entrambi, li faceva regredire all’infanzia, ai giochi infiniti che avevano caratterizzato le loro estati.
Solo quando furono sazi di mare, di salsedine e di giochi, uscirono dall’acqua e si sdraiarono sul bagnasciuga con il respiro affannato, a faccia in su, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Poi, quasi contemporaneamente, chiusero gli occhi e ascoltarono il rumore ipnotico della risacca, con le mani che si sfioravano. Fu un momento di grande benessere: si sentivano come rinati, lavati a fondo dall’acqua del mare di tutte le brutture del mondo che potevano averli fino ad allora contaminati.
David era emozionato e profondamente turbato. Ogni tanto apriva gli occhi e guardava Marco, il suo sesso scuro e forte, i fianchi sottili da ragazzo, le spalle muscolose. Richiudeva gli occhi e immaginava di toccarlo, di toccare il suo pene, ora rilassato, che diventava duro sotto le sue mani, immaginava di baciarlo, di leccarlo e il pensiero lo eccitava fin nel profondo del suo essere. Avrebbe voluto girarsi e sfiorarlo e poi baciarlo fino allo sfinimento.
Ma all’improvviso ebbe paura delle sue emozioni, pensò che non doveva perdere il controllo; allora si mise seduto e disse a Marco che sarebbe andato a rimettersi il costume, forse poteva arrivare qualcuno e si sarebbe sentito a disagio. Chissà cosa poteva pensare.
Il momento perfetto, assolutamente perfetto, passò.
Anche Marco con riluttanza si rivestì e dopo un po’, come se non avessero più niente da dirsi o avessero già detto tutto, ritornarono indietro, con il vento che soffiava sui loro volti giovani e innocenti.
Quando arrivarono a casa di David, si salutarono impacciati, scambiandosi delle vaghe promesse.
David nei giorni successivi non riuscì a concentrarsi nello studio. Meno male che stava finendo l’anno scolastico e la sua disattenzione passò quasi inosservata.
Solo il suo professore di filosofia si accorse che qualcosa era successo al ragazzo: lo vedeva distratto, con la testa tra le nuvole. Che si fosse innamorato?”…
… “Arrivò la primavera e la natura esplose.
Sembrò a Livia che anche il suo cuore esplodesse. Non poteva più nascondere a sé stessa che si stava innamorando di Ezio.
Ormai non avrebbe più potuto fare a meno del suo modo di guardarla e di sorriderle, che la faceva sentire al centro del suo mondo, unica e fondamentale per la sua vita.
Quando per l’ennesima volta Ezio l’invitò a vedersi fuori dal paese, in campagna, lei non poté fare a meno di accettare.
Era quasi estate, periodo di scrutini finali e per questo lei era spesso fuori di casa anche il pomeriggio per gli impegni scolastici. Non le fu difficile mentire a suo marito, inventandosi un impegno in più.
Si trovarono in mezzo al verde della campagna, punteggiato da fiori spontanei, da ginestre che illuminavano lo sguardo riempiendolo del loro giallo caldissimo.
Erano entrambi molto emozionati, uno di fronte all’altra, quasi non osavano sfiorarsi per paura di far dileguare quell’atmosfera incantata. Poi, finalmente lui allungò una mano e le carezzò il volto, lasciando su di lei un’impronta fiammeggiante. Si avvicinarono lentamente e si baciarono, restando senza fiato per l’intensa emozione.
Livia trasalì: era come se stesse baciando un uomo per la prima volta, come un’adolescente timida e innamorata.
Sentiva il cuore batterle nel petto all’impazzata, consapevole che non si sarebbero fermati al bacio e che sarebbero andati oltre, oltrepassando la soglia del lecito, ma in quel momento niente era importante.
Lui la distese sull’erba e le fu sopra, come un’aquila rapace ma con la dolcezza di un agnello. Le scoprì le gambe, in evidenza sotto il vestito estivo leggero e la accarezzò a lungo ripetendole all’infinito quanto fosse bella.
Poi non parlarono più, prevalse la passione che esplose come le ginestre, come una forza della natura incontenibile, inarrestabile.
Lei sentiva il suo peso sopra di lei ma non osava muoversi né protestare, anche se le spine si insinuavano sotto il vestito e le pungevano la schiena, ma era una sensazione lontana, che avvertiva appena.
Prevalevano l’emozione dell’incontro, il calore insopportabile della passione, il senso bruciante di ritornare ad amare con tutta se stessa.
Iniziò così la loro storia d’amore, perché di amore si trattava.
C’era tra loro un sentimento potente che li faceva sentire parte di un tutto, in osmosi con l’universo intero: ciò che talvolta succedeva aveva quasi del miracoloso, inspiegabile razionalmente.
Capitava infatti che, quando erano insieme, la natura partecipasse del loro amore: c’erano sempre fiori, farfalle e uccelli che non sembravano temere la loro presenza. Come se fossero addomesticati, si avvicinavano e facevano sentire il loro cinguettio.
Si guardavano negli occhi, con il cuore traboccante d’amore e si chiedevano se stavano inventandosi tutto, se l’amore non li stesse rendendo folli o scemi o incredibilmente felici. È difficile che un essere umano abbia la piena percezione e consapevolezza di stare vivendo momenti di intensissima felicità.
Di solito è più facile ripensare al passato e ricordare la felicità vissuta.
Livia invece sentiva che difficilmente nella sua vita sarebbe stata così felice e cercava di osservare bene tutto, tutti i particolari, per metterli da parte, farne tesoro per il futuro, quando non sarebbero stati più insieme”…
… “Da un po’ di tempo si sentiva ansiosa, inquieta. Aveva incominciato a fare strani sogni: sogni di case, case sporche da pulire in modo ossessivo, case da ristrutturare perché stavano cadendo a pezzi, case da esplorare perché nascondevano zone buie, nascoste, polverose, insospettate. Non capiva il motivo del suo malessere. Ormai si era abituata alla solitudine che era stata insostenibile nel primo periodo dopo la morte di Alberto, suo marito, avvenuta due anni prima, all’improvviso. Un infarto se l’era portato via in un attimo, senza darle nemmeno il tempo di un saluto, di un addio.
Le figlie, che abitavano lontano, in due diverse città del nord, insistevano continuamente affinché lasciasse il paese e si trasferisse da loro, a turno. Ma lei ci teneva alla sua indipendenza, alla sua libertà, alla possibilità di organizzarsi la giornata a suo piacimento, per fare mille piccole cose oppure niente, godendosi l’ozio più completo.
Perché poi le case, si chiedeva, stralunata. Non coltivava più, ormai da tempo, progetti di cambiamento, di ristrutturazione. La sua casa le stava bene così com’era, un po’ vecchiotta ma comoda. Eppure quei sogni ritornavano ciclicamente, come ad indicarle un bisogno oppure un malessere profondo, come se a sgretolarsi fosse lei stessa, un pezzo alla volta.
Le sembrava che tutta l’impalcatura della sua vita stesse cedendo come a causa di uno smottamento tellurico. Non aveva più punti di riferimento né ancore a cui aggrapparsi”…